Con Avatar – La via dell’acqua, James Cameron vuole dirci che…
Devo ammetterlo, la lacrima è scesa spontanea alla fine del film, ancor prima di togliere gli occhiali per la visione in 3D.
Avatar – La via dell’acqua mi ha tenuta incollata alla poltrona per tre ore, un film che diventa, accentuato dagli effetti 3D, un’avventura personale.
La trama, di per sé, ha ben poco di originale.
Molto simile al primo capitolo, il sequel di Cameron narra delle popolazioni Na’vi, umanoidi primitivi che abitano il pianeta Pandora, a contatto e in armonia con i cicli della natura – non dovremmo vivere anche noi così -?
La pace sul pianeta, durata circa vent’anni, viene interrotta dal ritorno su Pandora del principale antagonista, il colonnello Quaritch, morto in battaglia e risorto nel suo Avatar ma con la stessa avidità che lo contraddistingueva quando ancora abitava il corpo del “demone”.
I demoni – se ancora non lo hai capito – sono gli esseri umani.
Che poi, magari fossimo demoni! Abbiamo anche perso il significato delle parole. Il Daimon è l’Essere Divino. Dov’è finito?
Anche in questo caso è tutta una questione di scelta. Che tipo di Demone vuoi essere? L’Essere Divino o la feccia? A te la scelta!
Pandora rischia di essere spazzata via dal desiderio intenso e smodato degli uomini di appropriarsi – come se non bastasse, danno già inferto al pianeta terra – anche dei luoghi remoti, che convivono in una pacifica consonanza con Eywa, la Grande Madre, entità divina che rappresenta tutte le cose viventi e protettrice dell’equilibrio naturale di Pandora.
Non manca il tema “guerra”, uno schema narrativo che si ripete nel tempo, quello dei buoni e dei cattivi eternamente in contrasto, che continua a convincere perché molto vicino alla realtà che stiamo vivendo.
Perché ci deve essere sempre un antagonista da combattere, la famosa dualità.
Da millenni in continua lotta, l’eterna lotta.
Uomini e donne di pseudoscienza e senza morale, hanno esiliato Dio ad un’idea, perdendo di vista ciò che è Sacro, continuando a distruggere e uccidere ciò che hanno intorno, senza rispetto per la Vita, condizionati da una cosa che si chiama denaro.
Altro tema centrale è la famiglia: Jake e Neytiri non sono semplicemente una coppia, hanno ben tre figli naturali e Kiri – in cui mi rivedo molto – la loro figlia adottiva concepita inspiegabilmente dall’Avatar della defunta dottoressa Grace Augustin.
Forte è il senso di appartenenza allo stesso nucleo – i Sully restano uniti! – così come è forte il concetto di famiglia spirituale, che viene introdotto con l’arrivo dei tulkun, enormi creature acquatiche dotati di notevole intelligenza e sensibilità, considerati fratelli e sorelle dello spirito dai componenti della tribù dei Metkayina – la tribù Avatar marina, per intenderci-.
Al di là delle intenzioni del regista, il secondo capitolo di Avatar, va letto tra le righe: è profondamente spirituale, se rivediamo per un attimo la scena che chiude il sequel di Cameron; ridare a Madre Natura tutta l’energia che ci è stata data – generosamente – in prestito. Perché è questo ciò che siamo: pura energia!
È meditazione e unione con Eywa e con l’acqua, l’elemento chiave del cosmo e della vita, ciò che collega il buio alla luce, la morte alla vita e ciò che Talete, 26 secoli fa, definì “ἀρχή”, il principio ordinatore del mondo.
È connessione con l’altro, la percezione della sua vera essenza: “Io ti vedo” è una delle frasi che sentiamo spesso pronunciare, tanto breve quanto intrinseca di significato.
Cosa vedi negli occhi dell’altro, se lo guardi attentamente?
Spoiler: la risposta è molto più semplice di quanto tu creda, ma lascio a te trarre le conclusioni.
Eppure, nel metabolizzare il film, mi rendo perfettamente conto che il pianeta terra è ciò che di più lontano possa esistere dal paradiso che Cameron ci mostra con Pandora.
Possiamo andare indietro nel tempo, al 29 novembre 1864 e al massacro di Sand Creek, in Colorado, in cui centinaia di nativi americani persero la vita per mano del colonnello Chivington e arrivare all’ 8 giugno del 2022 con lo sfratto di alcuni popoli Masai dai loro territori in nome della conservazione naturale e dell’istituzione di una riserva naturalistica destinata alla caccia e al turismo d’élite.
Basta poco per capire che la storia insegna, ma che gli uomini dall’esperienza hanno appreso ben poco.
Mi piace pensare, tuttavia, che un Toruk Makto alberghi dentro ognuno di noi, pronto a combattere per ciò che di più caro abbiamo: la VITA.
E per madre terra, alla quale, un giorno ritorneremo.
“Io ti vedo, fratello e ti ringrazio”.
Angela Caliò