Parlando dei diritti del sé, non ritroviamo una previsione normativa espressa che definisca cos’è – e se esista – questo diritto all’identità. È vero, tuttavia, che l’ordinamento giuridico non può e non deve normare ogni campo dell’esistenza dei singoli consociati, ma solo quelli necessari ad una corretta convivenza tra gli stessi. Ne consegue che uno Stato che volesse normare il concetto di sé, non permettendone la libera identificazione ed espressione al singolo, sarebbe un abominio concettuale. Una struttura terza, eterocostituita, desiderosa di normare e definire l’anima.
Tuttavia, al fine di tutelare l’individuo nelle proprie molteplici sfaccettature, è necessario, quanto meno e per sommi capi, definire il concetto di “identità” che ogni soggetto dissemina all’interno delle proprie attività sul web. E sono proprio quelle “briciole” che formano il nostro “Io digitale” o, come ama dire qualcuno, quel “gemello digitale” che nasce inevitabilmente dal dispiegamento della personalità del soggetto per il tramite della rete internet. Ciò comporta che violare l’identità digitale – in quanto riflesso e riverbero dell’identità personale e ad essa intimamente legata – può portare a conseguenze profonde, persistenti e potenzialmente irreversibili.
La persona è dunque fulcro, fonte, causa e conseguenza dell’Io digitale. E quindi: fino a che punto può dirsi distaccato o distaccabile dall’Io considerato tout court? Ben poco, invero, quanto più la società evolve tecnologicamente e richiede sempre più frequenti interazioni mediate da strumenti digitali. Se al contrario si volesse ritenere possibile un distacco dell’Io digitale, ci si troverebbe innanzi al dilemma circa la tutela dell’integrità personale del soggetto cui tale Io fa riferimento. E ovviamente bisognerebbe collocare il punto fino a cui è possibile svolgere tale operazione di atomizzazione.
In entrambi i casi l’Io digitale è riflesso ed emanazione della persona umana. E con la persona interagisce.
Genesi giuridica dell’Io digitale
Il concetto di Io digitale non ha legislativamente una definizione. Essa si può ricavare, in via interpretativa, nell’alveo dei diritti della personalità; il diritto all’identità personale viene fondato sulla base dei diritti di libertà costituzionali che implicherebbero la pretesa di ciascun soggetto di essere rappresentato con la propria vera identità e di non vedere alterato, contestato o mistificato il proprio patrimonio intellettuale, nelle varie forme in cui esso può estrinsecarsi. Tale tutela, avrebbe il suo fondamento nell’art. 2 Cost.
Sul tema, la giurisprudenza ha individuato 3 aspetti fondamentali dell’identità personale:
- la sua natura omnicomprensiva della personalità del soggetto, ovverosia rappresentativa del suo patrimonio culturale, politico, morale ecc.;
- la sua oggettività, nel senso di corrispondenza fra comportamenti esterni al soggetto rilevabili e la rappresentazione della personalità; in altre parole, l’identità personale tutela quel che il soggetto risulta essere e non ciò che crede di essere;
- la sua esteriorità, in quanto l’idea caratterizza il soggetto all’interno di una comunità; la lesione può avvenire con un mezzo di comunicazione che alteri nei consociati la loro percezione della persona.
L’incontro dell’Io analogico con il mondo digitale, tuttavia, ne provoca inevitabilmente una frammentazione e parcellizzazione, che divide l’unitarietà in differenti sé espressi in diversi ambiti, sia a causa delle rappresentazioni che gli stessi individui propongono – come nella vita analogica – migliorate o declinate in base all’umore, al gruppo di riferimento o al trend espresso nella filter bubble, sia a causa delle raccolte di dati personali sempre più ampie, pervasive e specializzate, dalle molteplici finalità e ad opera di soggetti più vari. Si produce quindi una cristallizzazione della frammentazione dell’Io e un suo spossessamento: il frammento dell’Io analogico, rectius digitale, diventa – di fatto – una proprietà di un non identificato terzo che la userà per altrettanti non identificati scopi.
L’individuo quindi, di fatto, perde non solo il suo diritto all’unitarietà dell’Io ma anche all’unitarietà della rappresentazione dell’Io digitale; questo, infatti, risulta essere un’immagine, non solo parziale e non rappresentativa della persona nel suo complesso ma anche imprecisa, magari non aggiornata, oppure costruita sulla base di decisioni algoritmiche condizionate dalla finalità della raccolta o dai bias degli algoritmi stessi. Piace ricordare che l‘art. 9 – Diritto all’identità – della Dichiarazione dei Diritti di internet infatti, esordisce chiarendo che “ogni persona ha diritto alla rappresentazione integrale ed aggiornata delle proprie identità in rete” e continua dichiarando che “l’uso di algoritmi e di tecniche probabilistiche deve essere portato a conoscenza degli interessati, che in ogni caso possono opporsi alla costruzione e alla diffusione dei profili che li riguardano”.
Un ambito da attenzionare particolarmente riguarda l’Io digitale dei soggetti vulnerabili, fra cui emblematicamente rientrano i minori. Elemento peculiare dei minori così come di altre categorie soggette all’altrui controllo e responsabilità è la precostituzione di un Io digitale ad opera di altri, soprattutto mediante sovraesposizione da social network. E dunque quanto va previsto e attuato deve essere un rafforzamento delle tutele non solo di carattere rimediale, nel momento in cui viene raggiunta la maggiore età, ma soprattutto di carattere preventivo nella limitazione di determinate azioni cui i minori sono soggetti, come, ad esempio, diventare protagonisti – più o meno volontari – dei canali social (e spesso, commercialmente sfruttati) da parte dei genitori.
Scenari futuri
Possiamo dunque sostenere che sia in corso una diffusa crisi di identità? Risalendo le radici etimologiche del termine κρίσις si ritrova il significato di separazione e scelta. E forse così è, poiché il ritrovamento di quell’Io che più che perduto si ritrova disperso nelle innumerevoli forme che può assumere attraverso gli specchi liquidi del digitale può avvenire solo con una scelta sistematica e di metodo. Avere innanzitutto consapevolezza del cambiamento in corso porta alla percezione di un’esigenza di riadeguare – o meglio: declinare – le tutele che l’ordinamento già prevede per i nuovi e futuri contesti che si profilano. Badando che la persona umana sia sempre il centro nevralgico di imputazione di diritti efficaci e mai assuma caratteristiche assimilabili in tutto o in parte a quelle di un prodotto. Educare ai rischi diventa così altrettanto fondamentale, in modo tale che le pretese dei singoli su diritti inviolabili possano avere dignità e trovino riscontri innanzitutto da parte dei decisori politici e di conseguenza dagli operatori di mercato che veicolano l’offerta dei servizi.
Affinché, la ricerca e tutela della propria dignità personale non diventi nel futuro, anch’esso, un diritto as a service.